19 luglio 1992: dalla strage di Via D’Amelio all’ eredità di Paolo Borsellino.

“Sono ottimista perché vedo che nei confronti della mafia i giovani siciliani e non, hanno oggi un’attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni fino ai 40 anni.

Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.

Paolo Borsellino

Furono queste le ultime parole scritte dal magistrato Paolo Borsellino la mattina del 19 luglio 1992, prima che scoppiasse la bomba che gli avrebbe tolto la vita.
Alcuni mesi prima infatti, fu invitato a partecipare ad un convegno in una scuola, ma per motivi lavorativi non poté partecipare.

Quella mattina, a poche ore dalla strage di via D’Amelio, decise di rispondere a quell’invito, e nella lettera si definì ottimista, perché credeva nelle giovani generazioni, credeva che un giorno i giovani avrebbero cambiato questa Terra, che definì “bellissima e disgraziata.” 

Paolo Borsellino


“Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo, l’importante è che il coraggio prenda il sopravvento.”

Paolo Borsellino

Il 19 luglio 1992

Paolo Borsellino trascorse la giornata del 19 luglio 1992 con la sua famiglia, decisero infatti, di staccare dalla routine quotidiana trascorrendo del tempo nella villa al mare di Villagrazia di Carini.

Si svegliò alle ore 5:00, quando fu chiamato dalla figlia Fiammetta, che in quel momento si trovava in vacanza in Indonesia. 
Era una calda domenica di luglio, una di quelle cui hai solo voglia di goderti il mare, che il Dott. Borsellino tanto amava.
Quella domenica però, non fu come le altre, almeno per la maggior parte degli italiani.

Paolo Borsellino salutò i suoi familiari, prese la sua borsa di cuoio marrone e si diresse in via D’Amelio, luogo in cui abitava la madre e che in quel caldo pomeriggio, avrebbe dovuto accompagnare dal dottore.

Entrarono in via D’Amelio, scesero dalle auto blindate, giunsero davanti al portone di casa, il Dott. Borsellino accese una sigaretta e alle ore 16:58 scoppiarono i 90 chili di tritolo posizionati in una delle auto posteggiate in via D’Amelio, precisamente nella Fiat 126.

Quella bomba distrusse tutto, sventrò le automobili, rovinò i palazzi, distrusse i corpi delle vittime. Si alzò una colonna di fumo nero che sembrò inghiottire via D’Amelio. Il boato dell’esplosione , le immagini della strage, le parole dei testimoni ancora oggi sono impresse nella mente di tutti.

“Una fiammata mi investe, l’auto viene sbalzata da terra e rovesciata. Apro lo sportello e mi tiro fuori prima che la blindata esploda. Sento scoppi, esplosioni. Vedo fumo e morte, calpesto parti del corpo dei miei colleghi, prendo la pistola istintivamente e poi scende su di me il buio”.

Antonio Vullo, unico agente sopravvissuto alla strage

La strage in via D’Amelio

L’unico sopravvissuto fu Antonio Vullo, mentre morirono i 5 agenti di scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Claudio Traina, Walter Eddie Cosina e Vincenzo Li Muli.

Le vittime della strage
(foto dal sito “strettoweb.com”)

Paolo Borsellino a causa dell’esplosione fu privato sia degli arti inferiori che superiori, il suo volto era annerito, ma sotto i baffi fu possibile intravedere l’accenno di un sorriso. Fu la figlia maggiore del magistrato Lucia a ricomporlo e vestirlo.

Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo volle vedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anche ricomporre e vestire all’interno della camera mortuaria. Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine dell’esplosione, ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorella ha tratto una grande forza da quell’ultima immagine del padre, è come se si fossero voluti salutare un’ultima volta.

Manfredi Borsellino (figlio di Paolo Borsellino)

I racconti delle persone che giunsero per prime in via D’Amelio furono davvero raccapriccianti.

“Alla mia vista si presentò uno scenario assolutamente terrificante: c’erano macchine incendiate, vetri rotti, il braccio di Paolo Borsellino fu trovato al secondo o terzo piano dell’edificio in cui abitava la madre”.

Pietro Luca, vigile del fuoco

Via D’Amelio

Paolo Borsellino

Cosa Nostra a distanza di soli 57 giorni dalla strage di Capaci, uccise uno dei principali esponenti del pool antimafia, giudice istruttore del maxi-processo di Palermo, l’uomo che insieme a Giovanni Falcone e tanti altri, sferrò un duro colpo all’organizzazione criminale.

Paolo Borsellino era un siciliano che amava la sua terra, amava la Sicilia e Palermo. Concepiva il suo lavoro di magistrato come una missione di vita.

“Palermo non mi piaceva per questo ho imparato ad amarla, perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”.

Paolo Borsellino

Paolo Borsellino

I 57 giorni

Durante i suoi ultimi 57 giorni di vita dalla strage di Capaci, Paolo Borsellino visse una lotta contro il tempo.

Dopo la morte del suo amico e collega Giovanni Falcone, si sentì profondamente solo, svuotato, ma continuò a lavorare incessantemente, anzi, intensificò le ore di lavoro perché era chiaro a tutti che di lì a poco sarebbe toccato anche a lui.

“Faccio una corsa contro il tempo, devo lavorare, devo lavorare tantissimo, io ho capito tutto sulla morte di Giovanni.”

Paolo Borsellino

Falcone e Borsellino, opera di Gaetano Porcasi

Borsellino chiese più volte di essere ascoltato come testimone dalla Procura di Caltanissetta, che indagava sulla strage di Capaci, ma non venne mai ascoltato, non fu mai sentito dagli inquirenti.

Venne a conoscenza del fatto che Cosa Nostra stesse già pianificando un attentato contro lui e si sentì ancora più isolato, lasciato in balia di un destino già scritto, nelle mani di uno Stato che non seppe proteggerlo ed in nome del quale invece lui, sacrificò la propria vita.

Si allontanò dai familiari per cercare di rendere meno doloroso il distacco, cercava di proteggere anche i suoi agenti di scorta e rivolgendosi a loro disse:

“Giovanni era il mio scudo dietro il quale potevo proteggermi. Morto lui, mi sento esposto e adesso sono io che devo fare scudo nei vostri confronti.”

Paolo Borsellino


L’agenda rossa

Indagò incessantemente, riprese in mano la documentazione di alcuni omicidi eccellenti, le relazioni tra mafia e appalti, ascoltò alcuni collaboratori di giustizia e annotò tutto su un’agenda, che gli fu regalata dall’Arma dei Carabinieri. Quell’agenda rossa che portava sempre con sé e che ripose nella valigetta di cuoio il 19 luglio, a seguito dell’esplosione e dell’arrivo dei primi uomini in via D’Amelio, sparì. Si aprirono le indagini sulla sua sparizione, fu infatti scattata una foto in cui si vedeva l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli allontanarsi da via d’Amelio con la borsa del Dott. Borsellino, la procura richiese il rinvio a giudizio, ma il giudice dell’udienza preliminare rigettò la richiesta, sostenendo che non vi erano le prove per un’incriminazione di Arcangioli.

Furono ascoltati anche altri esponenti delle istituzioni, tra cui il magistrato Giuseppe Alaya che giunse quasi subito in via D’Amelio, il quale fornì nel corso degli anni tante versioni diverse. Ancora oggi non si conosce la verità.

Giovanni Arcangioli con la valigetta del Dott. Borsellino

Il movimento delle agende rosse

Il fratello Salvatore, a seguito della strage, fondò un Movimento per raccontare la storia di Paolo in tutta Italia e per lottare affinché emergesse la verità sulla strage e sulla sparizione dell’agenda rossa. Il simbolo del Movimento è proprio un’agenda rossa.

Salvatore Borsellino

I processi

Sin da subito si aprirono le indagini e con le stesse anche il clamoroso depistaggio che portò alla condanna di persone che furono successivamente dichiarate iinnocenti.

Fu istruito come uno scolaro il falso pentito Vincesco Scarantino, un balordo della Guadagna che aveva precedenti per droga e che non aveva nulla a che fare con la strage, non avendo neanche un profilo criminale che potesse indurre a considerarlo in grado di organizzare un attentato così complesso ed importante per Cosa Nostra.

Scarantitò più volte affermò di essere stato costretto ad affermare il falso autoaccusandosi della realizzazione della strage, affermò di essere stato costretto a collaborare dal questore La Barbera che dirigeva il gruppo investigativo competente ad indagare sulla strage.

La vera svolta ci fu nel 2008 quando Gaspare Spatuzza decise di collaborare con la giustizia, in quanto partecipò alla realizzazione della stessa rubando la Fiat 126. Grazie alle sue dichiarazioni fu possibile conoscere i veri esecutori materiali della strage ed i mandanti appartenenti alla Cupola siciliana.

Dopo il processo Borsellino uno, bis, ter, si è giunti al Borsellino quater, anni di processi, di depistaggi e di insabbiamenti. Si aprì anche un’indagine parallela, quella su eventuali mandanti occulti della strage, ma che non condusse all’accertamento di responsabilità esterne a Cosa Nostra.

La Corte di Assise di Caltanissetta si è pronunciata in merito all’accertamento della responsabilità degli imputati per il concorso nel reato di strage con la sentenza n. 1/2017 del 20 aprile 2017 e ha definito tale depistaggio “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”.

Restano ancora tante ombre sulla vicenda, sulla presenza di entità esterne a Cosa Nostra che hanno avuto un coinvolgimento nella strage, sulla sparizione dell’agenda, sulla Trattativa Stato-mafia, tutte questioni che è impossibile trattare in un solo articolo, ma che piano piano verranno sviscerate, su questo blog.

Atti inediti della Commissione Antimafia

Il 16 luglio 2019, sono stati desecretati atti inediti della Commissione Parlamentare Antimafia presieduta da Nicola Morra, atti dal 1963 al 2001,tra questi figurano delle dichiarazioni rese dallo stesso Borsellino alla commissione antimafia, dichiarazioni che a distanza di 28 anni mettono i brividi.


“Buona parte di noi non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate – come avviene la mattina – perché di pomeriggio è disponibile solo una macchina blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere quattro colleghi. Pertanto io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà utilizzando la mia automobile; però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere, poi, libero di essere ucciso la sera”

Borsellino denunciò la situazione insostenibile che furono costretti a vivere nel 1984 quando la commissione si recò direttamente a Marsala dove Borsellino lavorava,per capire quali fossero le problematiche dell’epoca e dalle dichiarazioni emerge una situazione paradossale:
Lo Stato che avrebbe dovuto proteggere i suoi servitori, non riusciva ad assicurare loro una protezione adeguata.

Con riferimento alla lotta alla mafia invece disse:


Oggi qui in Sicilia stiamo vivendo un momento in cui abbiamo l’esatta sensazione di un calo generale di tensione con riferimento alla lotta alla criminalità mafiosa. Abbiamo avuto la sensazione che si tende nuovamente a regionalizzare questo problema e poi, soprattutto, a confonderlo con il suo momento processuale. Sotto questo aspetto forse il maxiprocesso è stato un danno perché oggi si guarda al fenomeno mafioso come quello che c’è dentro l’aula, come se tutti i problemi fossero accentrati lì.

Quello invece è un momento repressivo in cui il processo deve fare il suo corso, con le sue regole, i suoi giochi. Non entro in questa vicenda però il fenomeno non è tutto lì. Lo Stato ha fatto questo enorme sforzo ma ora non deve ragionare in questo modo ‘vi abbiamo dato il giocattolo, adesso cosa volete di più?’ Certe volte abbiamo questa sensazione”.

In queste dichiarazioni denunciò anche la mancanza di attrezzature tecnologiche idonee  per far fronte ad una mole di lavoro che diventava ogni giorno sempre più grande.


“E’ un po’ paradossale che la commissione antimafia venga a chiedere quale è la situazione della lotta alla mafia: i magistrati vengono mandati qui di malavoglia, vengono con la valigia in mano da uditori e ripartono appena trovano l’occasione o appena scadono i due anni. L’incentivo non può essere che economico, mi si dice che è allo studio da tre anni ma ancora non si hanno notizie. Queste zone sono periferiche ma non con riferimento alla criminalità. Il mio ufficio, rimanendo identico come personale, mentre prima si occupava di 4 mila processi l’anno, ora si occupa di 30 mila processi l’anno a cui si aggiungono 60 mila dalle procure del circondario. Oggi io ho 100 mila processi: me li sono guardati tutti, io non mi arrendo”.

L’eredità di Paolo

Ogni anno sono tanti i ragazzi che si recano in via D’Amelio in occasione delle manifestazioni in suo onore, tanti quelli che riflettono sulle sue parole, che leggono qualche libro o guardano qualche film e a distanza di 28 anni, nonostante il fatto che ancora oggi quella nube nera che inghiottì via D’Amelio, nasconde ancora la verità, è possibile affermare con certezza che il sacrificio sostenuto da Borsellino, dagli agenti di scorta e da tanti uomini morti in nome di un ideale, non è stato sostenuto invano.

Oggi quell’albero di olivo che fu piantato in via D’Amelio su volere della madre, accoglie i tanti giovani che considerano il magistrato un esempio da seguire, dimostrando a noi stessi e a tutti, che la lotta alla mafia è una lotta quotidiana, una lotta anche con noi stessi, con la nostra indifferenza, le nostre paure.

Citazione di Paolo Borsellino


” Io ho amato particolarmente Paolo per la sua semplicità, perché sapeva essere uomo tra gli uomini, per la sua profonda umiltà e immensa umanità, e per la carica d’amore che sapeva spargere intorno a sé. Il suo insegnamento più grande? La sua capacità di sacrificarsi per un ideale. Egli ha saputo mettere insieme molte virtù : la semplicità, l’amore, il senso religioso del lavoro, tutte doti che oggi, purtroppo si stanno disperdendo.”

Antonino Caponnetto

Paolo Borsellino

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