A seguito della strage di Capaci che avvenne il 23 maggio 1992; quella di via D’Amelio del 19 luglio 1992 e quella del 27 maggio 1993 in via dei Georgofili a Firenze, che uccise 5 persone, Cosa Nostra decise di sferrare un altro attacco.
Il 27 luglio 1993 scoppiò una bomba in via Palestro a Milano, di fronte al Padiglione d’Arte contemporanea.
Quando l’autobomba esplose, uccise l’agente Alessandro Ferrari e i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno e anche l’immigrato marocchino Moussafir Driss.
Il 28 luglio 1993 invece, scoppiarono due autobombe nella Capitale: una a San Giovanni in Laterano e un’ altra a San Giorgio in Velabro.
Il giorno successivo, Gaspare Spatuzza spedì due lettere anonime a nome della sigla “Falange Armata” alle redazioni dei quotidiani “Il Messaggero” e “Corriere della Sera”, minacciando altri attentanti.
Cosa Nostra aveva l’obiettivo di spaventare, di creare un clima di tensione affinché lo Stato cedesse alle sue richieste. Infatti queste due bombe erano un chiaro avvertimento: la bomba a San Giorgio perché allora, il presidente della Camera era Giorgio Napolitano e a San Giovanni perché allora, il Presidente del Senato era Giovanni Spadolini.