Il caso Provenzano: La Corte Europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per aver continuato ad applicare il regime carcerario del 41 bis nei confronti di Bernardo Provenzano, uno dei boss più influenti e pericolosi di Cosa Nostra ed averlo sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Allo stesso tempo la Corte di Strasburgo ha affermato che la decisione di continuare la detenzione di Provenzano non ha leso i suoi diritti.

Provenzano, chiamato anche “Zu Bunnu” o il “ragioniere”, è stato uno dei maggiori esponenti del clan dei Corleonesi, il quale negli anni settanta, dopo aver sconfitto la mafia storica palermitana ed aver eliminato i più importanti boss, acquisì il potere.

Provenzano fu arrestato l’11 aprile del 2006 dopo quarant’anni di latitanza, una serie di ergastoli e tanti procedimenti penali sulle spalle.

Dopo l’arresto fu condotto presso il carcere di Terni, sottoposto al regime carcerario dell’art. 41 bis. Dopo un anno, venne trasferito al carcere di Novara dove tentò più volte di comunicare con l’esterno, per questo motivo si decise di aggiungere al regime di 41 bis, il regime di “sorveglianza speciale” (14-bis) dell’ordinamento penitenziario, con ulteriori restrizioni.

Nel 2001 venne accertato che il boss fosse affetto da un cancro alla vescica, così fu trasferito al carcere di Parma dove tentò il suicidio.

Con il passare del tempo le condizioni fisiche peggiorarono e fu trasferito all’ospedale San Paolo di Milano, ma la Cassazione nel 2015, riconfermò il 41 bis nonostante le richieste dei legali di Provenzano di spostarlo in un reparto riservato ai detenuti ordinari. Morì nel 2016.


La Corte Edu però, ha condannato l’Italia per non aver revocato il carcere duro, nonostante le insistenti richieste da parte dei legali del boss.

Si è aperto un dibattito ed indipendentemente dalle opinioni personali di ognuno, è pacifico riconoscere a tutti i diritti fondamentali, tra cui il diritto di essere curati ed assistiti anche e soprattutto in casi come questi, ma non è possibile strumentalizzare il tema del 41 bis come invece è stato fatto.  Forse l’Italia avrebbe potuto permettere al boss di morire accanto ai suoi familiari, nella propria abitazione piuttosto che in una camera sorvegliata a vista, revocando tale regime quando ormai era nota a tutti la sorte del boss, ma non possiamo dimenticare che sono sempre state assicurate al malato tutte le cure necessarie per far fronte alla sua malattia.

Tale regime carcerario è previsto per i delinquenti più pericolosi ed in alcuni casi, risulta essere estremamente necessario; tale pagina ritiene giusto accettare la sentenza della Corte, ma di non condividerne tutti gli aspetti, perché nonostante il regime di isolamento ( per alcuni necessario, per altri meno) ha sempre ricevuto tutte le cure da istituti specializzati. 
Il pm Nino Di Matteo ha espresso il suo parere in in un’intervista al Fatto Quotidiano,affermando: «Bernardo Provenzano è rimasto al 41-bis fino alla morte, ma ha ricevuto fino alla fine le migliori cure da parte degli specialisti degli ospedali civili in cui è stato ricoverato. Tra l’altro, presso l’ospedale San Paolo di Milano venne per lui approntato un reparto protetto dove rimase ricoverato dal 9 aprile 2014 sino al 13 luglio 2016. L’impossibilità di avere contatti con soggetti diversi dai suoi familiari non ha influito sull’efficacia delle cure, affidate ai migliori specialisti degli ospedali civili che le sue patologie richiedevano. Il regime di carcere duro in sostanza – conclude – non ha inciso in alcun modo sull’evoluzione della malattia e sulla sua morte». 

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