“Era la notte buia dello Stato italiano, quella del 9 maggio ’78, la notte di via Caetani, del corpo di Aldo Moro, l’alba dei funerali di uno Stato”.
La canzone “I Cento Passi” dei Modena City Ramblers, che racconta la vita appassionata di Peppino Impastato, è una delle poche canzoni in grado di far convergere le due storie. Due vite diverse, ma con molteplici similitudini.
Quando quella mattina del 9 maggio 1978, l’Italia si svegliò ed apprese della notizia relativa alla morte di Aldo Moro, pensava si trattasse soltanto di un brutto sogno, quello che per mesi molti avevano cercato di evitare.
Aldo Moro, Presidente della DC
Aldo Moro, massimo esponente della Democrazia Cristiana, della quale divenne segretario e poi presidente, fu trovato senza vita in via Caetani dopo 55 giorni di prigionia.
Fu il principale promotore del cosiddetto “compromesso storico”, tra il Partito Comunista di Enrico Berlinguer e la DC, un’opera di riavvicinamento tra due forze politiche opposte.
Moro immaginava la creazione di governi di solidarietà nazionale, capaci di comprendere anche forze opposte come il PCI.
Tale prospettiva però, non poté godere di grande condivisione, anzi, furono molti ad esprimere il proprio dissenso. Erano contrari non solo esponenti politici italiani, ma gli stessi Stati Uniti ed Unione Sovietica.
Il rapimento
Fu rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo in via Fani, esattamente il giorno in cui
fu presentato un nuovo governo Andreotti, uccidendo i cinque uomini della
scorta: Domenico Ricci, Oreste
Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi.
Iniziarono così I suoi 55 giorni di prigionia, giorni di paura, di smarrimento,
a volte di speranza ed infine di rassegnazione.
Durante quei 55 giorni, da un lato gli investigatori erano impegnati nell’individuazione del covo del Brigatisti e dunque del luogo di prigionia di Moro, dall’altro lato, si aprì grande dibattito che coinvolse tutte le forze politiche. Il mondo politico era diviso in due: una parte sosteneva la linea della fermezza (la Dc, il PC, i liberali, i socialdemocratici ed i repubblicani) che era contraria ad ogni possibile trattativa con le Brigate Rosse e l’altra era quella invece disposta ad aprire un dialogo con i brigatisti pur di salvare Moro.
Ma perché Moro? Lo scopo dei Brigatisti
I brigatisti, appartenenti a questa organizzazione eversiva di estrema sinistra, chiesero la liberazione di alcuni detenuti, in cambio della vita di Aldo Moro. L’obiettivo principale era la creazione di una dittatura del proletariato, attraverso la propaganda armata, la realizzazione di un attacco al cuore dello stato, ed una guerra civile, fino al rovesciamento dello stato borghese.
Durante i giorni di prigionia, arrivarono una serie di comunicati da parte dei rapitori. Nel primo i brigatisti dissero di aver rinchiuso Moro nella “prigione del popolo” e lo definirono” il teorico e lo stratega indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprimeva il popolo italiano.”
Secondo le Brigate Rosse occorreva colpire il regime democristiano, il quale era favorevole ad uno Stato imperialista delle multinazionali. La posizione era dunque, marxista- leninista, lottavano contro il capitalismo e l’avvicinamento della DC e PCI.
Le indagini
Dopo il rapimento iniziarono le prime attività di ricerca finalizzate alla individuazione del covo in cui Aldo Moro era stato rinchiuso. Roma era piena di posti blocco, gli investigatori seguirono diverse piste, ma erano sempre un passo indietro.
Durante una seduta spiritica del 2 aprile, alla quale partecipò anche Romano Prodi, venne fuori il nome “Gradoli”. Secondo la moglie di Moro, indicava il nome di una via, ma quando lo fece presente alle autorità, non fu ascoltata. Soltanto a seguito di una segnalazione proprio in via Gradoli relativa ad una perdita d’acqua, gli investigatori il 18 aprile si recarono sul luogo e scoprirono un covo delle Brigate Rosse, infatti, proprio in via Gradoli 96 abitavano Mario Moretti (brigatista) e la compagna Barbara Balzerani.
Le lettere di Moro
Si fecero sempre più insistenti le ricerche, mentre nella prigione del popolo, Aldo Moro continuava a scrivere delle lettere.
Le lettere erano indirizzate alla famiglia, al suo partito, addirittura a Papa Paolo Giovanni II, il quale chiese di liberare Moro più volte. Al suo partito chiedeva di aprire una trattativa e nelle sue lettere sottolineò la responsabilità dello stesso. Dalle lettere viene fuori il volto più umano di Moro, l’uomo, il marito, che cercò di dire addio così ai suoi familiari: con amore e semplicità.
“Vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della Dc con il suo assurdo e incredibile comportamento. (…) Per il futuro c’è in questo momento una tenerezza infinita per voi, il ricordo di tutti e di ciascuno, un amore grande grande carico di ricordi apparentemente insignificanti e in realtà preziosi. (…) Uniti nel mio ricordo vivete insieme. Mi parrà di essere tra voi. Sono le vie del Signore. Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo.” (…)
Lettera di Moro indirizzata alla moglie
Aldo Moro, il professore
Un uomo che era molto amato anche dai suoi studenti, era professore di Procedura Penale presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma.
La docu-fiction “Aldo Moro, il professore” è quella che più di tutte è riuscita a mettere in luce il forte legame con i suoi studenti, i quali speravano in una possibile liberazione.
La morte
La liberazione però non avvenne, il comunicato 9 delle Brigate non lasciava infatti alcun dubbio:” Per quanto riguarda la nostra proposta di uno scambio di prigionieri politici perché venisse sospesa la condanna e Aldo Moro venisse rilasciato, dobbiamo soltanto registrare il chiaro rifiuto della DC. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato”.
Specificarono però, che non tutti i brigatisti fossero d’accordo con la condanna. Mario Moretti così, uccise ad Aldo Moro, ed il suo corpo fu ritrovato in via Caetani esattamente dietro Botteghe Oscure, sede del Pci e poco distante da piazza del Gesù, sede della Dc.
La famiglia rifiutò le celebrazioni pubbliche, proprio perché lo Stato in cui credeva Moro, non fu capace di proteggerlo. Cossiga lasciò il Ministero dell’Interno e si aprì una dura lotta alle Brigate Rosse, cercando di debellarle per sempre.
Certezze e misteri
Il caso Moro però, è denso ancora oggi di mistero, a distanza di anni.
Sono stati molti ad approfondire questa vicenda, cercando di scoprire qualcosa in più, infatti non si può non ricordare il lavoro del magistrato Ferdinando Imposimato, che all’epoca fu il giudice istruttore del caso Moro.
Nel suo libro “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”, raccontò tutto quello ebbe modo di scoprire grazie alle continue indagini sul Caso Moro, nonostante non fosse più giudice istruttore.
Nel libro e nelle interviste rilasciate nel corso degli anni, ha fatto più volte riferimento alle possibili responsabilità di politici italiani (da Cossiga ad Andreotti) e anche di quelle straniere.
Parlò più volte del complotto politico al quale partecipò anche Gladio, del fatto che i servizi segreti fossero venuti a conoscenza della prigione di Moro 4 giorni dopo la cattura e che le forze dell’ordine ( tra cui il Generale Dalla Chiesa) l’8 maggio 1978 avrebbero dovuto fare irruzione nell’appartamento n. 8 in via Montalcini in cui era rinchiuso Moro, ma non fu possibile perché arrivò una comunicazione dal Ministero dell’Interno affinché non avvenisse l’irruzione.
Per amor del vero, occorre sottolineare che eventuali responsabilità di questo tipo, non sono mai state accertate in nessuna sentenza. Ci sono ancora tante ombre che oscurano la vicenda, domande senza risposta.
Ferdinando Imposimato è deceduto il 2 gennaio 2018 dopo aver passato gli ultimi anni della sua vita, ad incontrare i giovani per far conoscere la sua verità.
Il 9 maggio 2017 all’Università degli Studi Salerno affermò rivolgendosi ai giovani:
«Diceva Aldo Moro: “Un Paese senza verità è costruito sulla sabbia”, ed io credo che, fino a quando ci saranno giovani come voi che hanno il bisogno di conoscere la verità, questo Paese potrà rinascere.»