Riflessioni sul silenzio della vicenda di Melito.

Articolo di Danilo Nocera

In un tempo non del tutto remoto e nemmeno così tanto lontano dal luogo dove attualmente vivo, rifletto e sogno, è avvenuta un’atrocità che presenta tutte le sfumature distorte e plagiate di una popolazione, e non solo locale. La vicenda si svolge a Melito di Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, e la protagonista suo malgrado è una ragazza all’epoca dei fatti appena 13enne.

So che si è già riaccesa una campanellina rimembrante qualcosa in tutti voi, ma è proprio questo che è sbagliato. In una storia dove le istituzioni ed i mass media avrebbero dovuto fare le opportune pressioni costanti nel rispetto opportuno della vittima, tutto è svanito dopo i pochissimi giorni di indignazione popolare e qualche passerella politica in quel di Melito. Ed ecco che a distanza di poco più di 3 anni dalla fuoriuscita della vicenda, tutto sembra un lontano ricordo più che qualcosa di vivo. Il mafioso ed in generale l’arroganza vincono anche in questo modo dopotutto.

La ricostruzione dei fatti

Attingendo dai fatti, la ragazza coinvolta conosce Davide Schimizzi e tra i due nasce un rapporto che nei limiti potremmo definire da “coppia”. Ma ben presto tutto questo degenera in qualcosa di ben più ampio e grave.

Inizialmente fu praticamente offerta a Giovanni Iamonte (figlio del boss Remingo condannato al 41 bis) il giorno di San Valentino del 2014 e poi costretta a subire stupri e violenze di gruppo e più precisamente da una cerchia di almeno 8 persone. Costretta a subire violenze ed a stare anche in silenzio, le minacce di ritorsioni sia sul diffondere materiale compromettente sia addirittura le minacce sulla incolumità familiare, non consentono alla giovane una via di fuga.

“…speravo che finisse al più presto, cioè lo faccio e mi caccio il pensiero. Era questo che pensavo”.

La disperazione narrata in un tema d’italiano.

I genitori lo sanno. Dapprima il padre tenta la strada del dialogo senza rivolgersi alle autorità, salvo ricevere come risposta da Giovanni Iamonte di non aver toccato sua figlia e con l’aggiunta di un “e puru si fussi? O mi ammazzi o mi denunci”, un’affermazione che si potrebbe commentare da sola per l’ arroganza di cui troppo spesso alcuni soggetti amino alimentarsi.

L’opinione pubblica

 Si arriva alla risonanza mediatica scoppiata nel 2016, col pensiero locale che si dimostra inadeguato se non in altri casi totalmente assente.

Il parroco Benvenuto Malara commenta la vicenda: “Purtroppo corre voce che questo non sia un caso isolato. C’è molta prostituzione in paese” . Il sindaco Giuseppe Meduri  si scaglia contro il TGR Calabria e sulle sue ricostruzioni; una signora di Melito davanti ai microfoni commenta con: “Sono vicina alle famiglie dei figli maschi. Per come si vestono, certe ragazze se la vanno a cercare, la colpa non è tanto del Telegiornale”.

Le condanne

Il 20 dicembre 2018 il Tribunale di Reggio Calabria condanna 6 degli 8 ragazzi coinvolti (Davide Schimizzi 9 anni 6 mesi ed 8 giorni; Giovanni Iamonte 8 anni 2 mesi e 8 giorni; Antonio Verduci 7 anni; Michele Nucera 6 anni e 2 mesi; Lorenzo Tripodi 6 anni e Domenico Mario Pitasi 10 mesi; Daniele Benedetto e Pasquale Principato assolti) con scarcerazione comunque di tutti gli imputati con i soli Schimizzi e Iamonte ai domiciliari. Viene previsto anche il pagamento dei danni nei confronti delle parti civili costituite con il pagamento previsto alla giovane di 150mila euro, consapevole personalmente del fatto che nessun risarcimento economico potrà mai compensare l’accaduto.

 Si chiude dunque così questo racconto, nel poco interesse generale, e forse anche nell’oblio totale in futuro.

Cara ragazza, quasi mia coetanea ma anche se non lo fossi non importerebbe, mi rendo conto che queste poche parole servano a poco se non a nulla, ma ti mando un abbraccio e ti chiedo scusa, per tutto. Ci sarà sempre una pensiero per te, sappilo.