Rinascita-Scott: Maxi inchiesta della DDA di Catanzaro. Gratteri: “Ho un sogno,smontare la Calabria come i lego.”

Articolo di Noemi Gatto

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Il 19 dicembre 2019 segna nella lotta alla criminalità organizzata ed in particolar modo nella repressione dell’organizzazione mafiosa ‘ndraghetista un eccellente punto di svolta. Potremmo definirlo un vero e proprio terremoto giudiziario, quello abbattutosi sulle organizzazioni operanti nel Vibonese e facenti capo alla cosca dei Mancuso di Limbadi. Per comprendere pienamente l’importanza storica dell’operazione condotta dai carabinieri del Ros e dalla procura antimafia di Catanzaro guidata dal Dott. Nicola Gratteri, è necessario tracciare un brevissimo excursus della famiglia Mancuso.

La famiglia Mancuso

Con quarant’anni di storia criminale alle spalle, l’ascesa dei Mancuso nel panorama vibonese inizia nel 1977, dopo la morte del boss Antonio Zoccali di Vibo Valentia.

In una prima fase, scelsero di allearsi con la famiglia dei Fiarè durante la faida contro la famiglia avversaria dei Pardea, sancendo così una forte alleanza. Tuttavia, non molto tempo dopo, i Mancuso ottennero facilmente la supremazia della zona. Fondamentale a tal proposito, fu l’alleanza con due potenti famiglie reggine: i Piromalli di Gioia Tauro e i Pesce di Rosarno con le quali venne sancito un patto federativo, meglio noto come “mandamento tirrenico”.

“Passo dopo passo”, i Mancuso si imposero così sugli altri gruppi criminali del vibonese, “esercitando un potere assoluto sulla zona d’influenza – scrive la Dda – mediante il controllo delle attività economiche ed imprenditoriali con l’accaparramento delle ricchezze che ne derivavano”.

I Mancuso, inoltre, furono fra i primi ad intuire quanto fosse vantaggioso ricercare contatti collusivi con le amministrazioni locali. Già nel 1983, il Consiglio comunale di Limbadi venne sciolto per infiltrazioni mafiose a seguito degli esiti delle consultazioni elettorali in cui Francesco Mancuso classe ’29, allora latitante per associazione mafiosa, risultò primo candidato eletto”. Preso atto dello spessore criminale del clan “protagonista”, è doveroso sottolineare come l’inchiesta sia frutto di un lavoro certosino intrapreso nel giorno dell’insediamento del procuratore capo Gratteri.

Le indagini

Tre anni e mezzo di indagini serrate, che hanno portato alla luce una serie di rapporti ben consolidati fra la famiglia Mancuso e personaggi di spicco del mondo imprenditoriale-politico con annessa presenza di uomini legati alla massoneria. Complessivamente sono 416 gli indagati, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio e altri reati aggravati dalle modalità mafiose. Un’inchiesta colossale da 13500 pagine.

È la più grande operazione dopo il maxi processo di Palermo” ha commentato il procuratore Gratteri, spiegando che tra i 334 arresti ci sono anche politici, avvocati, commercialisti e massoni. “Abbiamo disarticolato completamente le cosche della provincia di Vibo – ha aggiunto – ma ha interessato tutte le regioni d’Italia, dalle Alpi alla Sicilia.”

Nell’ordinanza ci sono 250 pagine di capi di imputazione. È stato un grande lavoro di squadra fatto dai carabinieri del Ros centrale, di quello di Catanzaro, e del Comando provinciale di Vibo Valentia. Alla fase esecutiva dell’operazione hanno preso parte circa 3000 militari con tutte le specialità, dal Gis al Tuscania ai Cacciatori, tutte le sezioni Ros d’Italia e tutti i carabinieri della Calabria.

Nicola Gratteri

Dall’indagine emergerebbe in particolare, il ruolo dell’ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli noto avvocato del foro catanzarese e iscritto al Grande Oriente d’Italia, come “uomo cerniera” che avrebbe messo a disposizione dei criminali il proprio patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con rappresentati anche istituzionali nonché politici e imprenditoriali di primo piano.

La maxi-operazione

La complessità dell’operazione è stata determinata ed in parte anche amplificata, dalla fuga di notizie che ha così permesso ai boss di venire a conoscenza di quello che sarebbe stato il futuro blitz.

”Sapevamo che il boss Luigi Mancuso tornava da Milano e sapevamo che non l’avremmo più visto. Gli uomini del reparto speciale del Gis sono saliti sul treno e l’hanno tenuto sotto controllo per tutto il viaggio e non se ne è accorto. A Lamezia non ha neanche capito cosa succedeva, è stato preso e portato via in caserma”.

Nicola Gratteri

Nicola Gratteri

Le reazioni a seguito dell’operazione

Nonostante la portata dell’operazione Rinascita-Scott sia sotto gli occhi della collettività, come tutte le maxi-inchieste che si rispettino -anche questa- ha suscitato fra alcuni plausi ed indifferenza generale, svariate polemiche. Probabilmente, la più dura da digerire, proviene dal procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini, che durante una trasmissione di Tgcom 24, ha lamentato il mancato coordinamento tra i due uffici, facendo notare che della vicenda sapeva solo quanto riportato dalla stampa, non essendo stato informato preliminarmente da Gratteri.

Per queste ragioni, ha definito tale inchiesta “evanescente”, scatenando a sua volta reazioni di una parte della magistratura schieratasi a sostegno del Procuratore capo della DDA di Catanzaro. Lo stesso inoltre, ha sottolineato la mancata attenzione sull’inchiesta da parte dei principali quotidiani nazionali, definendo questa “ipotetica svista” come un “buco” dal punto di vista giornalistico.

Tralasciando la scia di polemiche consequenziali alla maxi-operazione, il dato oggettivo emergente dalla vicenda, è la forte necessità di incrementare e supportare con tutti i mezzi possibili inchieste di questa portata, al fine di recidere tutti quei rapporti che la ‘ndragheta detiene con ambienti politici-istituzionali nonché imprenditoriali.

La favola di una mafia fatta solo di pastori ha perso oramai ogni prospettiva di credibilità. Occorre un maggiore sforzo non soltanto da parte delle forze dell’ordine e della magistratura ma anche dalla collettività.

I calabresi devono trovare la forza ed il coraggio di liberarsi dalla “morsa” ‘ndraghetista: i giovani soprattutto, devono farsi promotori di comportamenti sani ed eticamente corretti, disdegnando la violenza e la prepotenza delle famiglie mafiose.

La Calabria è casa vostra, non loro