Intervista a Raffaele Ceriello, regista e sceneggiatore napoletano

Quando decisi di aprire questo blog, lo feci perché avevo voglia di raccontare, descrivere avvenimenti.

Volevo in qualche modo, diventare un strumento per veicolare storie e messaggi, raccontando la vite di chi resiste nonostante tutto, di chi prova nel suo piccolo a migliorare se stesso e ciò che ci circonda, come Raffaele Ceriello, regista e sceneggiatore napoletano che ho avuto il piacere e l’immenso onore di intervistare.

Il regista Raffaele Ceriello

Raffaele Ceriello, un giovane attento e appassionato, dopo aver studiato cinema e sceneggiatura, ha iniziato a lavorare come reporter e dal 2015 ad oggi, si è sempre occupato di workshop e laboratori di scrittura con minori, dai quali è stato anche prodotto un cortometraggio :”A legalità sta aret ‘o vico“, presentato in anteprima alla Camera dei Deputati.

Ha coniugando tutte le sue grandi passioni in ciò che fa: la regia, la scrittura, la fotografia e poi anche la formazione, tutti elementi che egli definisce ” necessari e tutti collegati per la realizzazione di un prodotto“. Per Raffaele il lavoro con i ragazzi è di fondamentale importanza, perché permette loro di far emergere le proprie emozioni, attraverso la scrittura creativa, suggestioni fotografiche.

“Uso molto il mezzo fotografico, soprattutto nella parte di formazione, perché mi rivedo molto nel fotografo che in quel momento inquadra quella realtà dando anche un punto di vista sulla stessa”.

Raffaele Ceriello

Tra le principali attività compiute dal regista possiamo menzionare, il ruolo di docente in sceneggiatura che ha svolto presso ” l’Accademia Vesuviana del Teatro e Cinema” di Gianni Sallustro – Ottaviano (Na), il Laboratorio di Scrittura e Storytelling – “Educare alla legalità” presso Dipartimento degli studi Umanistisci Federico II – Napoli, la partecipazione a numerosi convegni ed eventi aventi ad oggetto il contrasto alle mafie ed il ruolo del cinema e della scrittura.

Il Cinema sociale

Il tema della legalità e della lotta alla mafia sono sicuramente i temi più importanti per il regista. Il suo cinema è un cinema sociale, in grado di mostrare senza retorica uno spaccato della realtà.

Perchè hai deciso di raccontare queste storie e cosa significa per te il valore della legalità?

“Io credo che molto spesso siano le storie a scegliere te, quelle che ti porti dietro negli anni, sono storie che ho osservato, letto e che fanno parte del background sociale e culturale di riferimento, in base alle persone che ho incontrato e conosciuto nella vita e poi perché ho sempre avuto una predisposizione per la difesa degli sfruttati, degli ultimi, quindi raccontare gli ultimi significa raccontare le ingiustizie che subiscono, è questo per me il concetto di legalità.

Il concetto di legalità si unisce perfettamente a quello di giustizia sociale, quando viene meno la giustizia sociale, viene intaccata la legalità, anche a causa dei deficit della politica. Le politiche sociali dovrebbero lavorare meglio e di più sul territorio. La lotta alla camorra non è il gioco tra buoni e cattivi , occorre capire qual è lo strato culturale su cui la camorra attecchisce, individuare i deficit del sistema in cui la camorra riesce ad infilarsi”.

Per il regista dunque, raccontare queste storie, raccontare le persone, i drammi familiari, l’esperienza di chi si ribella alle ingiustizie è l’obiettivo principale.

“Quando l’ingiustizia diventa sistema, diventa mafia, questo significa fare un cinema sociale , politico, in grado di schierarsi. Io tendo a non giudicare i personaggi che racconto, provo a raccontarli con la massima libertà possibile, ma schierandomi da una parte o dall’altra.”

I cortometraggi

I due cortometraggi del regista, che mi hanno particolarmente colpita sono: “Per errore” e “L’eredità”.

“Per errore”

Per errore” è un cortometraggio che si ispira alla storia di Pasquale Romano, Salvatore Barbaro e di tante altre vittime non designate delle mafie, uccise per errore, per uno scambio di persona.

Il corto si incentra sul dialogo tra due donne legate da un omicidio di camorra: la madre della vittima e quella del killer. La madre della vittima è una professoressa che a scuola, durante l’incontro con i genitori, immagina di dialogare con la madre di chi ha ucciso suo figlio. Il regista è riuscito in pochi minuti a mostrare il dolore di due donne, unite da uno sparo, da pochi secondi che hanno cambiato per sempre tante vite.

Il dolore a causa della perdita di un figlio ed il dolore per il destino di un figlio che passerà il resto della sua vita in carcere, due vite stroncate. Il dolore viene mostrato indipendentemente dalle posizioni delle due madri, che sono diametralmente opposte, ma che in questo dialogo provano a cercare un contatto, un modo per superare il dolore.

Il ruolo della donna

“Perché hai scelto di raccontare questa storia attraverso il dialogo di due donne?”

“Quando ho iniziato a pensare a questa storia, sentivo la necessità di raccontare la storia di un ragazzo a cui cambia la vita da un momento all’altro ,a cui finisce la vita da un momento all’altro, in un contesto difficile. Ho costruito la storia su un dialogo tra due donne perché credo fortemente che la rivoluzione culturale nelle zone di marginalità e non solo, passi attraverso l’emancipazione del ruolo della donna, dando valore ed importanza a questa figura. Molto spesso ci ritroviamo donne che sono state mogli per una notte e madri per tutta la vita e che sono costrette a vivere senza sogni ed ambizioni. L’unica ambizione è quella di crescere un figlio sperando che questo figlio non finisca in un brutto giro”.

Nel cortometraggio infatti, la professoressa è come se rivedesse suo figlio in ogni bambino, come se considerasse il suo lavoro un modo per cambiare le cose, per incanalare la sua rabbia ed il suo dolore con il fine realizzare un obiettivo più alto, per realizzare qualcosa di utile, costruttivo, soprattutto per gli altri, per i bambini.

Il corto è stato girato inoltre, presso la Fondazione Famiglia di Maria di San Giovanni a Teduccio , dove il regista ha condotto un corso di scrittura e produzione rivolto ai ragazzi a rischio, fautori del cortometraggio ” A Legalità sta aret’ o vico”, per “permettere loro – come ha affermato il regista- di toccare con mano quella che è la magia del racconto cinematografico, ma soprattutto per provare a fargli avvertire la sensibilità di un racconto del genere, a loro che, provengono da un contesto difficile”.

Il visionare il cortometraggio, questo è il link: https://www.youtube.com/watch?v=qfrM-bkTFig

“L’eredità”

“L’eredità” invece, si ispira ad altri due casi: quello di Michele Landa e della Famiglia Vinci, in particolare di Matteo Vinci ucciso con un’autobomba a Limbadi nel Vibonese, per non aver voluto cedere un terreno alla ‘ndrangheta.

Nel cortometraggio uno dei protagonisti è Antonio, che dopo anni di silenzi e di litigi con la sua famiglia, ritorna a casa in un paesino del sud.

Il suo ritorno avviene nel momento in cui viene ucciso il padre, il quale non aveva voluto cedere il suo terreno alla famiglia mafiosa che se ne voleva appropriare, perchè quel terreno avrebbe costituito la sua eredità.

“Cosa ha rappresentato il ritorno di Antonio per l’intera famiglia?”

“Quando ho iniziato a scrivere “L’eredità”, volevo continuare il mio racconto sui personaggi che vivono in contesti inquinati dalla mafia e di chi resiste, di chi continua ad esserci nonostante una scomparsa. Non ho voluto raccontare l’omicidio, ma quello che succede dopo. “

Infatti con il ritorno di Antonio, è come se gli anni pieni di silenzi, di litigi non contassero più nulla, i figli avevano ormai il terreno, avevano l’eredità, ma non avevano più il padre e soltanto in quel momento vi è una presa di coscienza da parte di tutti: capiscono che la vera eredità era il coraggio che il padre era riuscivo a trasmettere, l’importanza di non piegarsi alla violenza mafiosa.

“Volevo raccontare di una famiglia che resiste, non si piega ad un nome che non si può pronunciare, a ciò che non si può descrivere, una famiglia che riesce a trovare la forza di combattere e di sfidare il silenzio. L’urlo liberatorio di Antonio alla finestra è una sfida e rappresenta il coraggio di non aver paura.”

Il coraggio e la paura

La scena in cui Antonio apre la finestra ed inizia ad urlare per manifestare tutta la sua rabbia ed il suo dolore, è una delle scene più toccanti. Viene infatti invitato dalle sorelle a rientrare, per evitare che gli stessi killer potessero sentire quelle parole.

La situazione di Antonio è diversa da quella delle sorelle, come ha infatti affermato il regista:

Antonio un uomo che ha vissuto fuori da quel contesto, è scevro da quella paura che invece mette subito in allarme le sorelle, ma la forza di Antonio è anche questa, egli irrompe nelle vite delle sorelle, che con Antonio ritrovano il coraggio per continuare a vivere.”

Ha poi aggiunto: “Volevo raccontare di una famiglia del sud, una famiglia piene di cose non dette, di silenzi, di rimorsi, a cui capita qualcosa di più grande di loro.

Per guardare il cortometraggio ecco il link: https://vimeo.com/363307183

La grande capacità di Raffaele Ceriello è quella di non aver avuto alcun bisogno di descrivere, spiegare la mafia, ma ha lasciato che fossero gli stessi personaggi con poche battute a farci immergere in quella realtà.

L’appello ai giovani del regista Ceriello

“Quale messaggio lanceresti ai giovani?”

“Io credo che i ragazzi debbano avere la curiosità di scavare e di cercare se stessi e l’altro. Uno degli esercizi che faccio fare durante i miei laboratori è quello di raccontare una storia da un altro punto di vista, provando ad uscire da se stessi, facendo un viaggio anche interiore. Ogni uomo è già una storia, ognuno di noi dovrebbe avere gli strumenti per raccontare la sua storia ed io provo a dare gli strumenti , a fargli cambiare angolazione, conoscere altri punti di vista. Condivido una citazione molto bella, quella secondo la quale i ragazzi non sono vasi da riempire, ma micce da da accendere. Per me i ragazzi sono delle micce che per esplodere hanno bisogno del giusto carburante e della giusta conoscenza.”

“Ti rende felice il tuo lavoro?”

“Questo lavoro ti rende inquieto, ci sono sprazzi di felicità come ad esempio quando riesci a mettere insieme i tasselli della storia che volevi raccontare, quando arriva l’illuminazione, poi c’è il momento della produzione che ti fa sentire orgoglioso, vedere gli attori dare se stessi per far vivere le tue parole. Mi rende felice e allo stesso tempo inquieto e penso che un autore abbia il dovere di essere inquieto, perchè è sempre alla ricerca della verità, del suo linguaggio e sta compiendo un viaggio verso se stesso.”

Con queste bellissime parole si è conclusa l’intervista a questo giovane regista, al quale auguro di continuare con la stessa passione e determinazione a raccontare ciò che deve essere raccontato, a fare luce laddove gli altri vorrebbero soltanto gettare ombre, ma soprattutto gli auguro di continuare a dare voce a chi non ha gli strumenti o la forza per reagire.